Nuova vita ai tuoi vestiti con POPUPLOP!
La moda è espressione di personalità, di valori e stile di vita, in altre parole è parte della nostra identità, e se da sempre è dichiarazione del ruolo che si ha nella società, oggi più che mai è anche affermazione dei valori che vorremmo venissero promossi e adottati.
Metallari, emo, fricchettoni, hypster, radical chic… a qualunque gruppo si appartenga, qualunque desinenza abbiamo scelto per il nostro pronome, possiamo fare della seconda pelle che sono i nostri abiti un messaggio per parlare di sostenibilità, ambientale e sociale.
Su queste riflessioni nasce Popuplop, un progetto di scambio di abiti usati, totalmente libero e autogestito, che ha dato il via a una rete internazionale con l’obiettivo, oltre all’avvio di piccoli mulinelli di economia circolare come quello qui a DumBO, di creare una community che, consapevole del potere della condivisione, ne fa il suo motore propulsore.
Nel 2022 nasce Popuplop, in Danimarca ad Aalborg, ma già l’anno successivo, nell’estate del 2023 arriva in Italia, a Modena, grazie ad Anna Carolina, che ha abbinato l’attitudine al riuso tramandatole dalla madre, alla sua personale esperienza sull’importanza della condivisione. Anna infatti vive in Danimarca, paese dove i negozi di seconda mano sono cool ed esistono numerosi centri di riuso o semplicemente cassettine di legno e relle in giro in strada dove chiunque può lasciare ciò che non usa più a titolo gratuito, con la speranza che qualcun altro possa usufruirne. In questo contesto ha modo di notare come alcuni sistemi funzionino solo se c’è apertura mentale e condivisione.
La riflessione si amplia quindi alle potenzialità di un sistema di economia condivisa e collaborativa, che fa della community il suo punto di forza, anzi, la sua condizione di esistenza.
A DumBO, come in molti altri centri culturali, siamo consapevoli dell’importanza che ha il potere di informare e coinvolgere comunità che nella connessione e nella condivisione di idee comuni trovano la forza di promuovere azioni e ambire così ad un impatto significativo e reale.
Qualcuno potrebbe dire “nulla di nuovo”: lo scambio di vestiti e di altri oggetti, che ad oggi conosciamo ormai tutti con il nome di swap, è una pratica che abbiamo già vissuto nella nostra infanzia, e che già per i nostri nonni era consuetudine e parte integrante dell’economia famigliare.
Perché allora d’un tratto tanta attenzione?
Ci siamo forse resi conto che dare un nome a questa abitudine la isola e al contempo la mette in evidenza, dandoci così l’opportunità di elaborare e modificare questa pratica sulle esigenze del presente, spronandoci a riflettere di conseguenza sulle nostre azioni. Gli abiti che indossiamo ci raccontano agli altri sì, ma è la modalità con cui li scegliamo, compriamo o scambiamo che dimostra le nostre abitudini e i nostri valori e trasforma quello che normalmente è simbolo, di status sociale, condizione, pensiero politico, in vera e propria azione, reale e concreta, e che proprio in quanto tale ci permette di ambire al futuro che crediamo sia più giusto con la speranza maggiore di chi si impegna in prima battuta per ottenerlo.